Parrocchia In...Forma
Bollettino n.5
31 Dicembre 2000 - 7 Gennaio 2001
buona lettura...
Indice:
"La volontà di Dio, Padre e Creatore, fu questa: che il
suo Figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato
per "noi, offrisse se stesso" (San Francesco). L'incarnazione
del Verbo, generato prima dell'aurora del mondo, è il dono sommo
che il Signore
Dio fa di se stesso. Il Figlio condividendo la nostra condizione
umana, entrando in noi, trasforma la nostra carne in tempio vivo
della sua presenza. La realtà umana, gli atteggiamenti, i
pensieri, i gesti, il nostro amore e la nostra amicizia possono
divenire strumenti per manifestare questa presenza poiché egli
stesso, il Signore, se ne è servito per dire agli uomini l'amore
del Padre. La nostra persona trova nella sua incarnazione il
centro unificatore di tutto il suo esistere: tutto viene
coinvolto in questa relazione di fede e di amore. Il Signore Gesù
si è abbassato fino a sottomettersi alle leggi umane, alle leggi
del tempio. Ha accolto due genitori, lui che ha creato dal nulla
tutte le cose; con loro si reca a Gerusalemme per la festa di
Pasqua. Gesù giunto alla sua maturità ufficiale, svela l'autentica
realtà di Maestro e di Figlio, prendendo le distanze dalla
cornice limitata e quotidiana entro cui è inserito. L'atteggiamento
del credente, allora, di fronte a questo mistero del Dio fatto
uomo, è quello di Maria che serbava nel cuore lo svolgersi di
questi avvenimenti meditandoli e custodendo, nella fedeltà al sì
iniziale, il mistero dell'Incarnazione nello scorrere del tempo.
L'incarnazione non è un fatto avvenuto una volta: Gesù assume l'umanità
nelle scelte, nella quotidianità. Gesù, si potrebbe dire, ha
imparato da Maria e da Giuseppe, ad essere uomo, ad incarnarsi.
Rendiamo grazie, al Padre anche per questo insegnamento di umiltà:
il Figlio che, come noi, ha conosciuto il lento cammino della
crescita, continui a farci progredire nel suo amore e nella
conoscenza del Padre, nella condivisione della Parola e del Pane
di vita, fino alla piena maturità del suo mistico Corpo. È in
questa Parola e nel Pane di vita che possiamo ravvivare in noi e
nella società la venerazione per il dono e il mistero della vita,
dal nascere al suo morire, in ogni circostanza e situazione. Il
Padre scegliendo una famiglia per raccontare, nel suo Figlio Gesù,
il suo amore per gli uomini, indica anche a noi la strada della
comunione e dell'amore.
"Gesù, con la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe,
riconosce il valore della famiglia come luogo dei rapporti umani
fondamentali, ordinati alla crescita delle persone; eppure non
esita a dichiarare che la sua famiglia più vera è quella
formata dai discepoli che compiono la volontà del Padre. Insegna
la fedeltà irrevocabile all'amore coniugale, contro ogni
tentazione di adulterio e di divorzio. Il reciproco dono di sé
tende a diventare duraturo, eterno, facendosi persona nel figlio".
Il Signore Gesù, dunque, scegliendo per sé, per il suo "incarnarsi"
tra gli uomini, una madre e un padre, eleva la dignità della
famiglia quale luogo in cui crescere nell'amore, nel reciproco
rispetto; luogo in cui accogliere la vita di ciascun membro, in
ogni condizione, quale mistero dell'amore di un Dio che diviene
carne nella nostra umanità. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ci
ricorda nella "Familiaris consortio" che, "i
coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi
la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno
permanente dell'unità coniugale". I genitori sono dunque
partecipi della fecondità dell'amore del Padre che, mediante l'azione
dello Spirito Santo, genera nel cuore dei credenti il suo Figlio
Gesù, reso nostro fratello, secondo una felice espressione di
san Francesco, grazie al sì di Maria.
Don Nicola
SUDAN
POPOLAZIONE: 32.594.000
RELIGIONE: islam 73%; animisti 16.7%; cristiani 8.2%
Cattolici: 2.958.467
Diocesi: Juba - 418.663; Malakal - 43.500; Rumbek49.000;
Tomboura-Yambio - 215.316; Torit - 456.000; Wau - 620.000; Yei -
167.360; Khartoum - 876.828; El Obeid - 105.000;
Siri: Territorio dipendente dal Patriarca di Antiochia dei Siri,
in quanto non costituito in circoscrizione ecclesiastica - 300.
Greco-Melkiti :-Territorio dipendente dallEsarcato
patrarcale di Le Caire dei Greco-Melkiti (Egitto e Sudan) - 6.500
Il Sudan sta sperimentando una persecuzione anticristiana pari solo a quella contro la chiesa del primo secolo. Dal 1985 circa due milioni di persone sono morte per la guerra, la fame e il genocidio. Interi villaggi vengono distrutti, i bambini vengono venduti come schiavi e i cristiani sono costretti a fuggire come profughi. Ogni giorno centinaia di cristiani muoiono per mano degli estremisti islamici. Pregate affinché il Sudan sia sommerso dalla Parola di Dio e da materiale cristiano per equipaggiare la chiesa.
Da oltre dieci anni un prete cattolico non metteva piede
in quella regione dove la repressione del regime fondamentalista
islamico è più violenta. Un missionario comboniano è tornato
tra la sua gente in condizioni avventurose e ha ritrovato una
comunità viva ad accoglierlo.
Questa è la cronaca del suo viaggio.
Il piccolo bimotore atterra su una minuscola striscia di terra
battuta tra i campi di sorgo, con il suo carico prezioso:
medicinali, attrezzi da lavoro, qualche pacco di sementi, un pò
di attrezzature per la scuola; e due grosse taniche con 400 litri
di carburante che serviranno per il ritorno. È quanto consente
di trasportare lo spazio a bordo. Il volo da Nairobi, con una
tappa per un rifornimento, è durato oltre sei ore, a quota molto
bassa per sfuggire agli avvistamenti. A bordo, oltre al pilota,
ci sono Davide De Michelis, un cineoperatore torinese, il
fotografo Gian Marco Elia, dell'Associazione Comunità Nuova",
un giornalista di Nairobi, Albert Mori e padre Renato Kizito
Sesana, missionario comboniano con base nel Kenia e il cuore nel
Sudan. È la prima volta, da dieci anni, che un prete cattolico
mette piede tra queste montagne della Nuba, dove la persecuzione
del regime fondamentalista islamico, al pari di quel che avviene
nel Sud del Paese, ha fatto terra bruciata dell'economia rurale,
rastrellando popolazioni, razziando beni, compiendo violenze su
donne e bambini. Con la sola differenza che di quel che avviene
nel Sud se ne parla, seppure raramente, mente questa popolazione
è dimenticata dal mondo, il suo genocidio si consuma nel
silenzio totale: qui non vi sono operatori delle grandi
organizzazioni internazionali, volontari o medici a portare
assistenza o una testimonianza di solidarietà; anche i
missionari sono stati costretti ad andarsene per le continue
violenze. Questa gente è rimasta sola con la propria
rassegnazione. Quello dei Nuba è un territorio grande quanto metà
Italia, collinoso, scarsamente abitato, dai panorami sconfinati,
un'africa di altri tempi se ci fermassimo soltanto alle apparenze.
Geograficamente appartiene al Nord del Paese, ma una parte del
territorio è controllato dal movimento di liberazione (Spla), al
pari di quel che avviene nel sud e qui i guerriglieri che si
oppongono al regime di Khartoum fanno capo a Yusuf Kuwa, un
atletico personaggio, metà umanista e metà guerrigliero, che
scrive poesie e odia i fanatismi. Spiega padre Kizito che i Nuba
sono una popolazione ai margini della vita del Paese, con
caratteristiche etniche molto particolari: un amalgama di 52 tribù,
culturalmente molto ricco; alcuni sono discendenti di schiavi
sfuggiti alle carovane negriere che transitavano da quei
territori, i più hanno subito la colonizzazione araba, senza
integralismi, altri si sono convertiti al cristianesimo, una
piccola parte è copta, il resto segue religioni tradizionali.
Tutti hanno in comune il senso della tolleranza e della
convivenza, una vita sociale fondata sulla partecipazione. Anche
la vita religiosa - spiega padre Kizito - si è sempre svolta all'insegna
di questa pacifica comprensione; musulmani e cristiani vivono nel
rispetto reciproco: vi sono iman che partecipano alle preghiere
delle comunità cattoliche recitando il Padre Nostro con i
fratelli di fede diversa. Ma da quando il regime di Khartoum ha
deciso l'intergrazione culturale e religiosa forzata, sotto la
spinta del fondamentalismo, sono cominciati gli espropri di terre,
la disintegrazione della società e la persecuzione; anche la
Chiesa si è impoverita: sono rimasti solo alcuni diaconi e i
catechisti a cui è toccata l'eredità di tenere viva nella
popolazione la pratica religiosa.
Padre Kizito,
lecchese di nascita, che sta a Nairobi con un altro comboniano,
monsignor Mazzolari, dividendo con lui le preoccupazioni e le
attività di assistenza alle popolazioni del Sudan, pensava da
tempo a una visita tra i Nuba; viaggio a rischio, per le
difficoltà di raggiungere le zone controllate dallo Spla senza
incorrere nell'artiglieria o nelle milizie governative. Due volte
ha dovuto cancellare il viaggio già organizzato: alla vigilia
dell'ultima partenza c'era stata una furiosa battaglia nel luogo
dove sarebbe dovuto atterrare l'aereo. Nell'estate scorsa,
finalmente, l'impresa è riuscita e padre Kizito con i suoi amici
è arrivato a destinazione. "Avevo mandato un messaggio
qualche tempo prima, avvisando del mio prossimo arrivo - racconta
- e il tam tam aveva diffuso la notizia: così all'arrivo dell'aereo
ho trovato una piccola folla ad attendermi, rappresentanti di
comunità cattoliche e catechisti, alcuni dei quali avevano fatto
tre giorni di viaggio a pieni per venire a incontrarmi. Avevo con
me una vecchia lista di catechisti della diocesi e ho provato a
fare l'appello: ne ho ritrovati l'ottanta per cento ed è stata
un'emozione profonda, un segno di continuità e di speranza della
Chiesa che nonostante tutto continua a vivere. Mi hanno mostrato
i libri con centinaia di nomi di battezzati e di matrimoni
celebrati in questi anni. I diaconi mi hanno spiegato che, non
potendo celebrare la messa e distribuire l'Eucarestia, benedicono
loro una specie di pane non lievitato e lo danno alla gente come
segno di comunione ". Dice padre Kizito: "In queste
condizioni la Chiesa diventa missionaria e si autopropaga, crea
forme di comunità che rispondono a bisogni locali. Sai cosa mi
ha detto un diacono prima di partire? "Padre, perché non ci
mandi l'Eucarestia con un aereo?". Nei giorni passati tra i
Nuba, il gruppetto di visitatori ha potuto girare, a piedi
naturalmente, alcuni villaggi rendendosi conto di persona delle
condizioni di vita: sono villaggi di capanne distanti ore di
cammino, molto spopolati dalle deportazioni. Hanno visto capanne
distrutte e crateri di bombe, hanno raccolto testimonianze di
scontri armati e di violenze subite dalle popolazioni. "La
situazione sanitaria è seria; - dice padre Kizito - non ci sono
medici né personale sanitario, sono in ripresa le epidemie di
Kalazar (una malattia ai polmoni che porta alla morte in breve
tempo, provocata da un moscerino) e le labbra, facilitate dall'isolamento
delle popolazioni. "Questa gente - dice ancora padre Kizito
- vive con la prospettiva di dover fuggire da un momento all'altro,
sotto la paura dei rastrellamenti o delle incursioni degli
Antonov. Sarebbe una zona fertile se gli abitanti potessero
vivere in pace: i raccolti non mancano ma sono a rischio e non ci
sono le sementi. L'emarginazione li ha impoveriti, non hanno
commercio, sono tornati a coprirsi di pezzi cuciti insieme o di
fibre vegetali. Un paio di calzoni viene barattato con una vacca."
"Eppure - conclude padre Kizito - nonostante le condizioni
penose di vita, le persecuzioni e la guerra incombente, non
abbiamo raccolto lamenti, ma solo ringraziamenti. Sono
popolazioni di grande dignità, affinate dalle difficoltà e
dalle sofferenze. La nostra visita le ha fatte sentire unite a
una comunità più grande che è partecipe alle loro sventure".
Ci sarà un seguito a questo viaggio? Padre Kizito è sicuro di sì.
Progetta di tornare tra i Nuba al più presto, anche se i rischi
non mancano. L'idea è di celebrare il Natale tra quelle
popolazioni in compagnia del fotografo Gian Marco Elia, per
dividere la grande festa con i bambini del luogo. Intanto con
monsignor Mazzolari ha avviato un piano di progetti che mirano a
riaprire le scuole chiuse da vent'anni, ridare un minimo di
assistenza sanitaria, e far rivivere l'agricoltura.
VOLONTARI VIDES LAURITA
FIGLIE di MARIA AUSILIATRICE
SALESIANI di DON BOSCO
VOLONTARI CROCE ROSSA ITALIANA COMITATO VILLARDORA (TO)
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
TEMPO DA SPENDERE
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Viviamo una vita frenetica e per certi versi opulenta.Siamo bombardati da immagini e suoni che ci vengono proposte in tempo reale che si sforzano di mostrarci una società bella, ricca ed intelligente. Il dinamismo che questo vortice genera tenta di distoglierci dal cammino principale che Gesù ci ha insegnato, perdendo il rapporto con gli altri nostri fratelli; la dimensione umana. Infatti, una delle parabole più belle che Nostro Signore ci ha lasciato qual è quella del Buon Samaritano viene vissuta nella società moderna come un racconto, bello ma non impegnativo. Noi cristiani, forti dellinsegnamento del Vangelo dobbiamo essere testimoni e messaggeri del vivere cristiano. Dobbiamo imparare che la parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa, le esperienze raccontate dagli anziani, vanno vissute come insegnamento per migliorarci e non come racconti storici vissuti dai nostri avi che non ci appartengono. Fermarsi, parlarsi e capirsi. Per noi Cristiani ritrovare il TEMPO DA SPENDERE diventa necessario per la risco-perta di valori perduti. Una sera, a Torino, nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, un gruppo di suore e volontari laici, guidati da Suor Delia decisero di SPENDERE DEL TEMPO in aiuto di altri fratelli. Nacque così il progetto di aiuto per il villaggio di LUWINGU nello Zambia che dopo un anno di preparazione ha consentito di portare un aiuto concreto ad una parte di fratelli che soffrono. Il progetto portò sette volontari a vivere un mese con la Tribù dei BEMBA. Ringraziamo Dio per aver avuto la possibilità, SPENDENDO DEL TEMPO, di riscoprire valori umani e cristiani con la convinzione di aver ricevuto e non dato.
DIALOGO TRA LE CULTURE PER UNA CIVILTA DELL'AMORE E DELLA PACE
1. All'inizio di un nuovo millennio, più
viva si fa la speranza che i rapporti tra gli uomini siano sempre
più ispirati all'ideale di una fraternità veramente universale.
Senza la condivisione di questo ideale, la pace non potrà essere
assicurata in modo stabile. Molti segnali inducono a
pensare che questa convinzione stia emergendo con maggior forza
nella coscienza dell'umanità. Il valore della fraternità è
proclamato dalle grandi « carte » dei diritti umani; è
manifestato plasticamente da grandi istituzioni internazionali e,
in particolare, dall'Organizzazione delle Nazioni Unite; è
infine esigito, come mai prima d'ora, dal processo di
globalizzazione che unisce in modo crescente i destini dell'economia,
della cultura e della società. La stessa riflessione dei
credenti, nelle diverse religioni, si fa più incline a
sottolineare che il rapporto con l'unico Dio, Padre comune di
tutti gli uomini, non può che favorire il sentirsi e il vivere
da fratelli. Nella rivelazione di Dio in Cristo, questo principio
è espresso con estrema radicalità: « Chi non ama non ha
conosciuto Dio, perché Dio è amore » (1 Gv 4,8).
2. Al tempo stesso, però, non ci si può nascondere che le luci appena evocate sono offuscate da vaste e dense ombre.L'umanità comincia questo nuovo tratto della sua storia con ferite ancora aperte, è provata in molte regioni da conflitti aspri e sanguinosi, conosce la fatica di una più difficile solidarietà nei rapporti tra uomini di differenti culture e civiltà, ormai sempre più vicine e inter-agenti sugli stessi territori. Tutti sanno quanto sia difficile comporre le ragioni dei contendenti, quando gli animi sono accesi ed esasperati a causa di odi antichi e di gravi problemi che faticano a trovare soluzione. Ma non meno pericolosa per il futuro della pace sarebbe l'incapacità di affrontare con saggezza i problemi posti dal nuovo assetto che l'umanità, in molti Paesi, va assumendo, a causa dell'accelerazione dei processi migratori e della convivenza inedita che ne scaturisce tra persone di diverse culture e civiltà.
3. Mi è parso perciò urgente invitare i credenti in Cristo, e con essi tutti gli uomini di buona volontà, a riflettere sul dialogo tra le differenti culture e tradizioni dei popoli, indicando in esso la via necessaria per l'edificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro. Si tratta di un tema decisivo per le prospettive della pace. Sono lieto che anche l'Organizzazione delle Nazioni Unite abbia colto e proposto questa urgenza, dichiarando il 2001 «Anno internazionale del dialogo fra le civiltà ». Sono naturalmente lontano dal pensare che, su un problema come questo, si possano offrire soluzioni facili, pronte per l'uso. E laboriosa già la sola lettura della situazione, che appare in continuo movimento, così da sfuggire a schemi prefissati. A ciò si aggiunge la difficoltà di coniugare principi e valori che, pur essendo idealmente armonizzabili, possono manifestare in concreto elementi di tensione che non facilitano la sintesi. Resta poi, alla radice, la fatica che segna l'impegno etico di ogni essere umano costretto a fare i conti col proprio egoismo e i propri limiti. Ma proprio per questo vedo l'utilità di una riflessione corale su questa problematica. A tale scopo mi limito qui ad offrire alcuni principi orientativi, nell'ascolto di ciò che lo Spirito di Dio dice alle Chiese (cfr Ap 2,7) e a tutta l'umanità, in questo decisivo passaggio della sua storia.
L'uomo e le sue differenti culture
4. Considerando l'intera vicenda dell'umanità, si resta sempre meravigliati di fronte alle manifestazioni complesse e variegate delle culture umane. Ciascuna di esse si diversifica dall'altra per lo specifico itinerario storico che la distingue, e per i conseguenti tratti caratteristici che la rendono unica, originale e organica nella propria struttura. La cultura è espressione qualificata dell'uomo e della sua vicenda storica, a livello sia individuale che collettivo. Egli, infatti, è spinto incessantemente dall'intelligenza e dalla volontà a « coltivare i beni e i valori della natura »,(1) componendo in sintesi culturali sempre più alte e sistematiche le fondamentali conoscenze che concernono tutti gli aspetti della vita e, in particolare, quelle che attengono alla sua convivenza sociale e politica, alla sicurezza ed allo sviluppo economico, all'elaborazione di quei valori e significati esistenziali, soprattutto di natura religiosa, che consentono alla sua vicenda individuale e comunitaria di svolgersi secondo modalità autenticamente umane.(2)
5. Le culture sono sempre caratterizzate da alcuni elementi stabili e duraturi e da altri dinamici e contingenti. Ad un primo sguardo, la considerazione di una cultura fa cogliere soprattutto gli aspetti caratteristici, che la differenziano dalla cultura dell'osservatore, assicurandole un tipico volto, nel quale convergono elementi della più diversa natura. Nella maggior parte dei casi, le culture si sviluppano su territori determinati, in cui elementi geografici, storici ed etnici si intrecciano in modo originale e irripetibile. Questa « tipicità » di ciascuna cultura si riflette, in modo più o meno rilevante, nelle persone che ne sono portatrici, in un dinamismo continuo di influssi subiti dai singoli soggetti umani e di contributi che questi, secondo le loro capacità e il loro genio, danno alla loro cultura. In ogni caso, essere uomo significa necessariamente esistere in una determinata cultura. Ciascuna persona è segnata dalla cultura che respira attraverso la famiglia e i gruppi umani con i quali entra in relazione, attraverso i percorsi educativi e le più diverse influenze ambientali, attraverso la stessa relazione fondamentale che ha con il territorio in cui vive. In tutto questo non c'è alcun determinismo, ma una costante dialettica tra la forza dei condizionamenti e il dinamismo della libertà. Formazione umana e appartenenza culturale
6. L'accoglienza della propria cultura come elemento strutturante della personalità, specie nella prima fase della crescita, è un dato di esperienza universale, di cui è difficile sopravvalutare l'importanza. Senza questa radicazione in un humus definito, la persona stessa rischierebbe di essere sottoposta, in età ancora debole, a un eccesso di stimoli contrastanti, che non ne aiuterebbero lo sviluppo sereno ed equilibrato. E sulla base di questo rapporto fondamentale con le proprie « origini » a livello familiare, ma anche territoriale, sociale e culturale che si sviluppa nelle persone il senso della « patria », e la cultura tende ad assumere, ove più ove meno, una configurazione « nazionale ». Lo stesso Figlio di Dio, facendosi uomo, acquistò, con una famiglia umana, anche una « patria ». Egli è per sempre Gesù di Nazareth, il Nazareno (cfr Mc 10,47; Lc 18,37; Gv 1,45; 19,19). Si tratta di un processo naturale, in cui istanze sociologiche e psicologiche inter-agiscono, con effetti normalmente positivi e costruttivi. L'amor di patria è, per questo, un valore da coltivare, ma senza ristrettezze di spirito, amando insieme l'intera famiglia umana(3) ed evitando quelle manifestazioni patologiche che si verificano quando il senso di appartenenza assume toni di autoesaltazione e di esclusione della diversità, sviluppandosi in forme nazionalistiche, razzistiche e xenofobe.
7. Se perciò è importante, da un lato, saper apprezzare i valori della propria cultura, dall'altro occorre avere consapevolezza che ogni cultura, essendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica necessariamente anche dei limiti. Perché il senso di appartenenza culturale non si trasformi in chiusura, un antidoto efficace è la conoscenza serena, non condizionata da pregiudizi negativi, delle altre culture. Del resto, ad un'analisi attenta e rigorosa, le culture mostrano molto spesso, al di sotto delle loro modulazioni più esterne, significativi elementi comuni. Ciò è visibile anche nella successione storica di culture e civiltà. La Chiesa, guardando a Cristo, rivelatore dell'uomo all'uomo,(4) e forte dell'esperienza compiuta in duemila anni di storia, è convinta che, « al di sotto di tutti i mutamenti, ci sono molte cose che non cambiano ».(5) Tale continuità è fondata sulle caratteristiche essenziali e universali del progetto di Dio sull'uomo. Le diversità culturali vanno perciò comprese nella fondamentale prospettiva dell'unità del genere umano, dato storico e ontologico primario, alla luce del quale è possibile cogliere il significato profondo delle stesse diversità. In verità, soltanto la visione contestuale sia degli elementi di unità che delle diversità rende possibile la comprensione e l'interpretazione della piena verità di ogni cultura umana.(6)
Diversità
di culture e reciproco rispetto
8. Nel passato le diversità tra le culture sono state spesso fonte di incomprensioni tra i popoli e motivo di conflitti e guerre. Ma ancor oggi, purtroppo, in diverse parti del mondo, assistiamo, con crescente apprensione, al polemico affermarsi di alcune identità culturali contro altre culture. Questo fenomeno può, alla lunga, sfociare in tensioni e scontri disastrosi, e quanto meno rende penosa la condizione di talune minoranze etniche e culturali, che si trovano a vivere nel contesto di maggioranze culturalmente diverse, inclini ad atteggiamenti e comportamenti ostili e razzisti. Di fronte a questo scenario, ogni uomo di buona volontà non può non interrogarsi circa gli orientamenti etici fondamentali che caratterizzano l'esperienza culturale di una determinata comunità. Le culture, infatti, come l'uomo che ne è l'autore, sono attraversate dal « mistero di iniquità » operante nella storia umana (cfr 2 Ts 2,7) ed hanno bisogno anch'esse di purificazione e di salvezza. L'autenticità di ogni cultura umana, il valore dell'ethos che essa veicola, ossia la solidità del suo orientamento morale, si possono in qualche modo misurare dal suo essere per l'uomo e per la promozione della sua dignità ad ogni livello ed in ogni contesto.
9. Se tanto preoccupante è il radicalizzarsi delle identità culturali che si rendono impermeabili ad ogni benefico influsso esterno, non è però meno rischiosa la supina omologazione delle culture, o di alcuni loro rilevanti aspetti, a modelli culturali del mondo occidentale che, ormai disancorati dal retroterra cristiano, sono ispirati ad una concezione secolarizzata e praticamente atea della vita e a forme di radicale individualismo. Si tratta di un fenomeno di vaste proporzioni, sostenuto da potenti campagne mass-mediali, tese a veicolare stili di vita, progetti sociali ed economici e, in definitiva, una complessiva visione della realtà, che erode dall'interno assetti culturali diversi e civiltà nobilissime. A motivo della loro spiccata connotazione scientifica e tecnica, i modelli culturali dell'Occidente appaiono fascinosi ed attraenti, ma rivelano, purtroppo, con sempre maggiore evidenza, un progressivo impoverimento umanistico, spirituale e morale. La cultura che li genera è segnata dalla drammatica pretesa di voler realizzare il bene dell'uomo facendo a meno di Dio, Bene sommo. Ma «la creatura ha ammonito il Concilio Vaticano II senza il Creatore svanisce! ».(7) Una cultura che rifiuta di riferirsi a Dio perde la propria anima e si disorienta divenendo cultura di morte, come testimoniano i tragici eventi del secolo XX e come stanno a dimostrare gli esiti nichilistici attualmente presenti in rilevanti ambiti del mondo occidentale.
Il dialogo tra le culture
10. Analogamente a quanto avviene per la persona, che si realizza attraverso l'apertura accogliente all'altro e il generoso dono di sé, anche le culture, elaborate dagli uomini e a servizio degli uomini, vanno modellate coi dinamismi tipici del dialogo e della comunione, sulla base dell'originaria e fondamentale unità della famiglia umana, uscita dalle mani di Dio che « creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini » (At 17,26). In questa chiave, il dialogo tra le culture, tema del presente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, emerge come un'esigenza intrinseca alla natura stessa dell'uomo e della cultura. Espressioni storiche varie e geniali dell'originaria unità della famiglia umana, le culture trovano nel dialogo la salvaguardia delle loro peculiarità e della reciproca comprensione e comunione. Il concetto di comunione, che nella rivelazione cristiana ha la sua sorgente e il modello sublime in Dio uno e trino (cfr Gv 17,11.21), non è mai appiattimento nell'uniformità o forzata omologazione o assimilazione; è piuttosto espressione del convergere di una multiforme varietà, e diventa perciò segno di ricchezza e promessa di sviluppo. Il dialogo porta a riconoscere la ricchezza della diversità e dispone gli animi alla reciproca accettazione, nella prospettiva di un'autentica collaborazione, rispondente all'originaria vocazione all'unità dell'intera famiglia umana. Come tale, il dialogo è strumento eminente per realizzare la civiltà dell'amore e della pace, che il mio venerato predecessore, Papa Paolo VI, ha indicato come l'ideale a cui ispirare la vita culturale, sociale, politica ed economica del nostro tempo. All'inizio del terzo millennio è urgente riproporre la via del dialogo ad un mondo percorso da troppi conflitti e violenze, talvolta sfiduciato e incapace di scrutare gli orizzonti della speranza e della pace.
Potenzialità e rischi della comunicazione globale
11. Il dialogo tra le culture appare oggi particolarmente necessario, se si considera l'impatto delle nuove tecnologie della comunicazione sulla vita delle persone e dei popoli. Siamo nell'era della comunicazione globale, che sta plasmando la società secondo nuovi modelli culturali, più o meno estranei ai modelli del passato. L'informazione accurata e aggiornata è, almeno in linea di principio, praticamente accessibile a chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Il libero flusso delle immagini e delle parole su scala mondiale sta trasformando non solo le relazioni tra i popoli a livello politico ed economico, ma la stessa comprensione del mondo. Questo fenomeno offre molteplici potenzialità un tempo insperate, ma presenta anche alcuni aspetti negativi e pericolosi. Il fatto che un ristretto numero di Paesi detenga il monopolio delle « industrie » culturali, distribuendone i prodotti in ogni angolo della terra ad un pubblico sempre crescente, può costituire un potente fattore d'erosione delle specificità culturali. Sono prodotti che contengono e trasmettono sistemi impliciti di valore e pertanto possono provocare effetti di espropriazione e di perdita di identità nei recettori.
La sfida delle migrazioni
12. Lo stile e la cultura del dialogo sono
particolarmente significativi rispetto alla complessa
problematica delle migrazioni, rilevante fenomeno sociale del
nostro tempo. L'esodo di grandi masse da una regione all'altra
del pianeta, che costituisce sovente una drammatica odissea umana
per quanti vi sono coinvolti, ha come conseguenza la mescolanza
di tradizioni e di usi differenti, con ripercussioni notevoli nei
Paesi di origine ed in quelli di arrivo. L'accoglienza riservata
ai migranti da parte dei Paesi che li ricevono e la loro capacità
di integrarsi nel nuovo ambiente umano rappresentano altrettanti
metri di valutazione della qualità del dialogo tra le differenti
culture. In realtà, sul tema dell'integrazione culturale, tanto
dibattuto al giorno d'oggi, non è facile individuare assetti e
ordinamenti che garantiscano, in modo equilibrato ed equo, i
diritti e i doveri tanto di chi accoglie quanto di chi viene
accolto. Storicamente, i processi migratori sono avvenuti nei
modi più diversi e con esiti disparati. Sono molte le civiltà
che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati
dall'immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di
autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la
capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto
reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei
differenti costumi.
Purtroppo persistono anche situazioni in cui le difficoltà dell'incontro
tra le diverse culture non si sono mai risolte e le tensioni sono
diventate cause di periodici conflitti.
13. In una
materia così complessa, non ci sono formule « magiche »; è
tuttavia doveroso individuare alcuni principi etici di fondo a
cui fare riferimento. Primo fra tutti, è da ricordare il
principio secondo cui gli immigrati vanno sempre trattati con il
rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana. A questo
principio deve piegarsi la pur doverosa valutazione del bene
comune, quando si tratta di disciplinare i flussi immigratori. Si
tratterà allora di coniugare l'accoglienza che si deve a tutti
gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle
condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per
gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti. Quanto alle
istanze culturali di cui gli immigrati sono portatori, nella
misura in cui non si pongono in antitesi ai valori etici
universali, insiti nella legge naturale, ed ai diritti umani
fondamentali, vanno rispettate e accolte.
Rispetto delle culture e « fisionomia culturale » del territorio
14. Più difficile è determinare dove arrivi il diritto degli immigrati al riconoscimento giuridico pubblico di loro specifiche espressioni culturali, che non facilmente si compongano con i costumi della maggioranza dei cittadini. La soluzione di questo problema, nel quadro di una sostanziale apertura, è legata alla concreta valutazione del bene comune in un dato momento storico e in una data situazione territoriale e sociale. Molto dipende dall'affermarsi negli animi di una cultura dell'accoglienza che, senza cedere all'indifferentismo circa i valori, sappia mettere insieme le ragioni dell'identità e quelle del dialogo. D'altra parte, come poc'anzi ho rilevato, non si può sottovalutare l'importanza che la cultura caratteristica di un territorio possiede per la crescita equilibrata, specie nell'età evolutiva più delicata, di coloro che vi appartengono fin dalla nascita. Da questo punto di vista, può ritenersi un orientamento plausibile quello di garantire a un determinato territorio un certo « equilibrio culturale », in rapporto alla cultura che lo ha prevalentemente segnato; un equilibrio che, pur nell'apertura alle minoranze e nel rispetto dei loro diritti fondamentali, consenta la permanenza e lo sviluppo di una determinata « fisionomia culturale », ossia di quel patrimonio fondamentale di lingua, tradizioni e valori che si legano generalmente all'esperienza della nazione e al senso della « patria ».
15. E evidente però che questa esigenza di « equilibrio », rispetto alla « fisionomia culturale » di un territorio, non può essere soddisfatta con puri strumenti legislativi, giacché questi non avrebbero efficacia se privi di fondamento nell'ethos della popolazione, e sarebbero oltre tutto naturalmente destinati a cambiare, quando una cultura perdesse di fatto la capacità di animare un popolo e un territorio, diventando una semplice eredità custodita in musei o monumenti artistici e letterari. In realtà, una cultura, nella misura in cui è veramente vitale, non ha motivo di temere di essere sopraffatta, mentre nessuna legge potrebbe tenerla in vita quando fosse morta negli animi. Nella prospettiva poi del dialogo tra le culture, non si può impedire all'uno di proporre all'altro i valori in cui crede, purché ciò avvenga in modo rispettoso della libertà e della coscienza delle persone. « La verità non si impone che in forza della verità stessa, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore ».(8)
La consapevolezza dei valori comuni
16. Il dialogo tra le culture, strumento privilegiato per costruire la civiltà dell'amore, poggia sulla consapevolezza che vi sono valori comuni ad ogni cultura, perché radicati nella natura della persona. In tali valori l'umanità esprime i suoi tratti più veri e qualificanti. Lasciandosi alle spalle riserve ideologiche ed egoismi di parte, occorre coltivare negli animi la consapevolezza di questi valori, per alimentare quell'humus culturale di natura universale che rende possibile lo sviluppo fecondo di un dialogo costruttivo. Anche le differenti religioni possono e devono portare un contributo decisivo in questo senso. L'esperienza da me tante volte compiuta nell'incontro con rappresentanti di altre religioni ricordo in particolare l'incontro di Assisi del 1986 e quello in Piazza san Pietro del 1999 mi conferma nella fiducia che dalla reciproca apertura degli aderenti alle diverse religioni grandi benefici possono derivare alla causa della pace e del bene comune dell'umanità.
Il valore della solidarietà
17. Di fronte alle crescenti disuguaglianze presenti nel mondo, il primo valore di cui promuovere una consapevolezza sempre più diffusa è certamente quello della solidarietà. Ogni società si regge sulla base del rapporto originario delle persone tra loro, modulato in cerchi relazionali sempre più ampi dalla famiglia agli altri gruppi sociali intermedi fino a quello dell'intera società civile e della comunità statale. A loro volta gli Stati non possono fare a meno di entrare in rapporto tra loro: la presente situazione di interdipendenza planetaria aiuta a meglio percepire la comunanza di destino dell'intera famiglia umana, favorendo in tutte le persone pensose la stima per la virtù della solidarietà. A tale proposito, occorre tuttavia rilevare che la crescente interdipendenza ha contribuito a mettere in luce molteplici disparità, come lo squilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri; la frattura sociale, all'interno di ciascun Paese, tra chi vive nell'opulenza e chi è leso nella sua dignità, perché manca anche del necessario; il degrado ambientale e umano, provocato ed accelerato dall'uso irresponsabile delle risorse naturali. Tali disuguaglianze e sperequazioni sociali sono andate in alcuni casi aumentando, fino a portare i Paesi più poveri ad una inarrestabile deriva. Al cuore di un'autentica cultura della solidarietà si pone, pertanto, la promozione della giustizia. Non si tratta solo di dare il superfluo a chi è nel bisogno, ma di « aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, a entrare nel circuito dello sviluppo economico e umano. Ciò sarà possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società ».(9)
Il valore della pace
18. La cultura della solidarietà è strettamente collegata con il valore della pace, obiettivo primario di ogni società e della convivenza nazionale e internazionale. Nel cammino verso una migliore intesa tra i popoli, tuttavia, numerose sono ancora le sfide che il mondo deve affrontare: esse mettono tutti di fronte a scelte improcrastinabili. La preoccupante crescita degli armamenti, mentre stenta a consolidarsi l'impegno per la non proliferazione delle armi nucleari, rischia di alimentare e di diffondere una cultura della competizione e della conflittualità, che non coinvolge soltanto gli Stati, ma anche entità non istituzionali, come gruppi paramilitari e organizzazioni terroristiche. Il mondo si trova tuttora alle prese con le conseguenze di guerre passate e presenti, con le tragedie provocate dall'uso delle mine anti-uomo e dal ricorso alle orribili armi chimiche e biologiche. E che dire del permanente rischio di conflitti tra nazioni, di guerre civili all'interno di vari Stati e di una violenza diffusa, che le organizzazioni internazionali e i governi nazionali si rivelano quasi impotenti a fronteggiare? Dinanzi a simili minacce, tutti devono sentire il dovere morale di operare scelte concrete e tempestive, per promuovere la causa della pace e della comprensione tra gli uomini.
Il valore della vita
19. Un autentico dialogo tra le culture, oltre al sentimento del rispetto reciproco, non può non alimentare una viva sensibilità per il valore della vita. La vita umana non può essere vista come oggetto di cui disporre arbitrariamente, ma come la realtà più sacra e intangibile che sia presente sulla scena del mondo. Non ci può essere pace quando viene meno la salvaguardia di questo fondamentale bene. Non si può invocare la pace e disprezzare la vita. Il nostro tempo conosce luminosi esempi di generosità e di dedizione a servizio della vita, ma anche il triste scenario di centinaia di milioni di uomini consegnati dalla crudeltà o dall'indifferenza ad un destino doloroso e brutale. Si tratta di una tragica spirale di morte che comprende omicidi, suicidi, aborti, eutanasia, come pure le pratiche di mutilazione, le torture fisiche e psicologiche, le forme di coercizione ingiusta, l'imprigionamento arbitrario, il ricorso tutt'altro che necessario alla pena di morte, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, la compra-vendita di donne e bambini. A tale lista vanno aggiunte irresponsabili pratiche di ingegneria genetica, quali la clonazione e l'utilizzo di embrioni umani per la ricerca, a cui si vuole dare una giustificazione con un illegittimo riferimento alla libertà, al progresso della cultura, alla promozione dello sviluppo umano. Quando i soggetti più fragili e indifesi della società subiscono tali atrocità, la stessa nozione di famiglia umana, basata sui valori della persona, della fiducia e del reciproco rispetto e aiuto, viene ad essere gravemente intaccata. Una civiltà basata sull'amore e sulla pace deve opporsi a queste sperimentazioni indegne dell'uomo.
Il valore dell'educazione
20. Per costruire la civiltà dell'amore, il dialogo tra le culture deve tendere al superamento di ogni egoismo etnocentrico per coniugare l'attenzione alla propria identità con la comprensione degli altri ed il rispetto della diversità. Si rivela fondamentale, a questo riguardo, la responsabilità dell'educazione. Essa deve trasmettere ai soggetti consapevolezza delle proprie radici e fornire punti di riferimento che consentano di definire la propria personale collocazione nel mondo. Deve al tempo stesso impegnarsi ad insegnare il rispetto per le altre culture. Occorre guardare oltre l'esperienza individuale immediata e accettare le differenze, scoprendo la ricchezza della storia degli altri e dei loro valori. La conoscenza delle altre culture, compiuta con il dovuto senso critico e con solidi punti di riferimento etico, conduce ad una maggiore consapevolezza dei valori e dei limiti insiti nella propria e rivela, al tempo stesso, l'esistenza di un'eredità comune a tutto il genere umano. Proprio in virtù di questo allargamento di orizzonti, l'educazione ha una particolare funzione nella costruzione di un mondo più solidale e pacifico. Essa può contribuire all'affermazione di quell'umanesimo integrale, aperto alla dimensione etica e religiosa, che sa attribuire la dovuta importanza alla conoscenza e alla stima delle culture e dei valori spirituali delle varie civiltà.
Il perdono e la riconciliazione
21. Durante il Grande Giubileo, a duemila anni dalla nascita di Gesù, la Chiesa ha vissuto con particolare intensità il richiamo esigente della riconciliazione. E richiamo significativo anche nel quadro della complessa tematica del dialogo tra le culture. Spesso infatti il dialogo è difficile, perché su di esso pesa l'ipoteca di tragiche eredità di guerre, conflitti, violenze e odi, che la memoria continua ad alimentare. Per superare le barriere dell'incomunicabilità, la strada da percorrere è quella del perdono e della riconciliazione. Molti, in nome di un realismo disincantato, reputano questa strada utopistica ed ingenua. Nella visione cristiana, invece, questa è l'unica via per raggiungere la meta della pace. Lo sguardo dei credenti si ferma a contemplare l'icona del Crocifisso. Poco prima di morire Gesù esclama: « Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Lc 23,34). Il malfattore crocifisso alla sua destra, udendo queste supreme parole del Redentore morente, si apre alla grazia della conversione, accoglie il Vangelo del perdono e ottiene la promessa della beatitudine eterna. L'esempio di Cristo ci rende certi che si possono realmente abbattere i tanti muri che bloccano la comunicazione e il dialogo tra gli uomini. Lo sguardo al Crocifisso ci infonde la fiducia che il perdono e la riconciliazione possono diventare prassi normale della vita quotidiana e di ogni cultura e, pertanto, concreta opportunità per costruire la pace e il futuro dell'umanità. Ricordando la significativa esperienza giubilare della purificazione della memoria, desidero rivolgere ai cristiani un appello particolare, affinché diventino testimoni e missionari di perdono e di riconciliazione, affrettando, nell'operosa invocazione al Dio della pace, la realizzazione della splendida profezia di Isaia, che può essere estesa a tutti i popoli della terra: « In quel giorno ci sarà una strada dall'Egitto verso l'Assiria: l'Assiro andrà in Egitto e l'Egiziano in Assiria: gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele, il terzo con l'Egitto e l'Assiria, sarà una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: "Benedetto sia l'Egiziano mio popolo, l'Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità" » (Is 19,23-25).
Un appello ai giovani
22. Desidero concludere questo Messaggio di pace con uno speciale appello a voi, giovani del mondo intero, che siete il futuro dell'umanità e le pietre vive per costruire la civiltà dell'amore. Conservo nel cuore il ricordo degli incontri ricchi di commozione e di speranza che con voi ho avuto durante la recente Giornata Mondiale della Gioventù a Roma. La vostra adesione è stata gioiosa, convinta e promettente. Nella vostra energia e vitalità e nel vostro amore per Cristo ho intravisto un avvenire più sereno e umano per il mondo. Nel sentirvi vicini, avvertivo dentro di me un sentimento profondo di gratitudine al Signore, che mi faceva la grazia di contemplare, attraverso il variopinto mosaico delle vostre differenti lingue, culture, costumi e mentalità, il miracolo dell'universalità della Chiesa, del suo essere cattolica, della sua unità. Attraverso di voi ho visto il mirabile comporsi delle diversità nell'unità della stessa fede, della stessa speranza, della stessa carità, come espressione eloquentissima della stupenda realtà della Chiesa, segno e strumento di Cristo per la salvezza del mondo e per l'unità del genere umano.(10) Il Vangelo vi chiama a ricostruire quell'originaria unità della famiglia umana, che ha la sua fonte in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo. Carissimi giovani di ogni lingua e cultura, vi aspetta un compito alto ed esaltante: essere uomini e donne capaci di solidarietà, di pace e di amore alla vita, nel rispetto di tutti. Siate artefici d'una nuova umanità, dove fratelli e sorelle, membri tutti d'una medesima famiglia, possano vivere finalmente nella pace!
Dal Vaticano, 8 dicembre 2000.
(Roma Agosto 2000 GMG)
(1) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium
et spes, 53.
(2) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso alle Nazioni Unite, 15
ottobre 1995.
(3) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 75.
(4) Cfr ibid., n. 22.
(5) Ibid., n. 10.
(6) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso all'U.N.E.S.C.O., 2 giugno
1980, n. 6.
(7) Cost. past. Gaudium et spes, 36.
(8) Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa
Dignitatis humanae, 1
(9) Giovanni Paolo II, Lettera enc. Centesimus annus, 58.
(10) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1.
Indice - Bollettino precedente - Bollettino successivo